La nostra storia

Le origini della Casa editrice

La lunga storia della Casa editrice prende avvio nel lontano 1883, quando Leo Samuele Olschki, figlio di un tipografo operante nella cittadina di Johannisburg nella Prussia orientale, decide di trasferirsi in Italia seguendo il percorso dei tanti personaggi come Rosenberg & Sellier, Sperling & Kupfer, Hoepli, Rappaport, Bretschneider, Le Monnier, Loescher, Scheiwiller, tutti attratti dal sogno di impiantare nel nostro paese un’attività editoriale che possa giovarsi dell’humus offerto dagli studi classici e dai fermenti post unitari. La città prescelta è Verona dove, dopo un breve apprendistato in una libreria locale, Leo fonda nel 1886 la libreria antiquaria editrice. La nascente impresa, volta inizialmente in modo precipuo all’attività antiquaria, decolla rapidamente sfruttando la sua capacità nell’individuare e stimare preziosi cimeli tra incunaboli e cinquecentine, abilità che lo rende presto un punto di riferimento del mercato del libro antico. Nei contatti internazionali con collezionisti e studiosi lo supporta la sua versatilità linguistica – padroneggiava sette lingue, tra cui il greco e il latino – che lo sostiene anche nell’avvio dell’attività editoriale, che lo vede fondare nel 1889 la rivista «L’Alighieri», primo omaggio al grande poeta che resterà la sua grande passione e un punto di riferimento a tutt’oggi presente nella produzione della Casa Editrice. Nel 1890 si rende conto che la realtà veronese non gli assicura l’apertura internazionale a cui aspira e decide di trasferirsi a Venezia dove resterà solo sette anni. Una breve esperienza che tuttavia lascerà sempre impresso sui suoi volumi il marchio dello stampatore veneziano di fine ’400, Lazzaro Soardi, che porta nel suo logo le stesse iniziali del fondatore. È il 1897 quando decide di trasferirsi definitivamente a Firenze dove, assieme all’attività antiquaria, decolla quella editoriale con l’avvio di nuove collane di letteratura, linguistica e soprattutto di studi bibliografici, sua grande passione. Inizia quindi la pubblicazione della collana "Inventari dei manoscritti delle biblioteche d'Italia" (con il quinto volume, 1895-96) e nasce «La Bibliofilia» (1899). Nel 1909 fonda la tipografia Giuntina per avviarvi la cultura tipografica che porterà alla realizzazione di grandi opere editoriali quali l’edizione monumentale della Divina Commedia del 1911, per la quale ottiene da Gabriele d’Annunzio una lunga introduzione.

Le due grandi guerre

Gli anni che precedono la grande guerra sono di grande attività sul mercato antiquario attraverso i nuovi contatti con collezionisti di oltreoceano come Walters e Morgan, mentre nel settore editoriale si aprono collaborazioni con d’Annunzio, Lando Passerini, Bertoni e tanti studiosi italiani e stranieri. Del 1910 è la costruzione della fastosa villa liberty di via Vanini, sulle sponde del Mugnone, dove organizza conferenze e accoglie collezionisti e autori. L’entrata in guerra segna per lui un passaggio drammatico per l’ondata di germanofobia che attraversa il paese e che lo travolge per le sue origini prussiane, fino a venire addirittura accusato di essere una spia tedesca. È costretto quindi all'esilio a Ginevra da dove tuttavia continuerà l’attività attraverso i sempre più difficili contatti con l’Italia e dove creerà la succursale ginevrina, alla quale attenderà dopo il 1928 il figlio Cesare. Alla fine della guerra Leo rientra in Italia in un panorama profondamente cambiato, mentre l’attività antiquaria segna il passo e lascia quindi più campo a quella editoriale. Nonostante il suo carattere accentratore, inizia a coinvolgere i figli nell’attività, vedendo fin dall’inizio crescere la propensione di Cesare verso l’attività antiquaria e quella di Aldo per l’editoriale.



Ma le dure prove che Leo è costretto ad affrontare non sono finite e l’emanazione delle leggi razziali del ’38 lo costringe nuovamente a prendere la via dell’esilio a Ginevra, dove morirà il 17 giugno del 1940. Nel frattempo i figli Cesare e Aldo sono costretti ad alienare la tipografia Giuntina e a continuare l’attività in forma semiclandestina, salvando tuttavia la sigla con lo stratagemma di attribuire le iniziali del fondatore al motto «Litteris servabitur orbis» e cambiando il nome della casa editrice in «Bibliopolis». Il passaggio della guerra è difficilissimo: alla morte del fondatore si aggiungono la perdita del villino romano di via delle Terme Deciane e soprattutto il crollo della sede fiorentina sotto le mine tedesche, disastro che seppellisce gran parte dei cimeli bibliografici, della produzione, dei carteggi e con loro di parte della nostra storia. La disgraziata coincidenza di scegliere sedi in corrispondenza dei ponti, condanna anche la libreria di lungarno Corsini, distrutta dalle mine che fecero saltare sull’Arno il Ponte Santa Trinita. La ripresa pare impossibile, tanto più che le divergenze tra Cesare e Aldo consigliano nel 1946 una divisione dell’attività con il passaggio a Cesare della parte antiquaria e ad Aldo di quella editoriale. Quest’ultima, privata dei mezzi di sussistenza, per affrontare nuove pubblicazioni deve alienare i preziosi incunaboli, e tra loro il famoso Codice Musicale Mediceo, che nella spartizione era stato riconosciuto al settore editoriale a compensazione del minor valore dell’attività. Aldo, per quanto minato dall’asma e da una salute incerta, si impegna con tutte le sue forze per far ripartire l’azienda e inserisce nel catalogo i filoni a lui cari della musicologia, della storia della scienza e dell’archeologia, con particolare attenzione all’etruscologia.

Da Aldo a Alessandro

Negli anni del dopoguerra nascono, o approdano al nostro marchio, nuove riviste tra le quali «Belfagor» e «Lettere Italiane» che con le sue collane rafforza il settore dell’italianistica sotto la guida di Vittore Branca e Giovanni Getto, mentre il settore bibliografico continua attraverso la «Bibliofilia» diretta da Roberto Ridolfi, la «Biblioteca di Bibliografia italiana», gli «Inventari dei Manoscritti delle Biblioteche d’Italia». Tuttavia la produzione procede a rilento per la mancanza di fondi e tra il 1945 e il 1950 vengono pubblicati soltanto 20 titoli. Nella nuova sede di via delle Caldaie, aperta nel 1950, appare sempre più difficile far quadrare i conti e, nel 1959, Aldo si fa tentare dalla proposta dei due fratelli Sindona, Enio e Michele (il banchiere di cui le cronache si occuperanno più avanti), di acquistare l’azienda. La trattativa è lunga e difficile e alla fine non ha esito positivo per l’incerta situazione dei bilanci dell’azienda che consiglia ai Sindona di recedere dall’intento. Deluso dal fallimento della trattativa e stremato dalle cattive condizioni fisiche, nel 1962 Aldo decide di ritirarsi e passare l’azienda al figlio Alessandro, non prima però di aver avuto un affettuoso incontro con Giovanni XXIII che era stato suo autore nel 1936. Un anno dopo per chiudere la sua esistenza terrena sceglierà, in ossequio al riserbo col quale aveva condotto tutta la sua vita, il giorno in cui l’evento avrebbe potuto aver meno risonanza: il 9 ottobre 1963, giorno dell’immane tragedia del Vajont. L’eredità della difficile situazione viene quindi accolta da Alessandro, che deve garantire il mantenimento dell’attività senza il supporto economico della parte antiquaria. La sua intuizione è quella di far sì che la Casa Editrice diventi il braccio editoriale delle più importanti istituzioni culturali italiane. Nascono così le collaborazioni con la Fondazione Cini, l’Accademia Colombaria, la Deputazione di Storia Patria per la Toscana, la Società di storia del Risorgimento, il Centro Nazionale di Studi Leopardiani, l’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento. L’attività è ormai ripartita e alla metà degli anni Sessanta escono ogni anno più del doppio dei volumi pubblicati complessivamente nei sei anni del dopoguerra. Il magazzino della sede non riesce più ad accogliere le nuove pubblicazioni, anche per il nostro assunto di mantenere sempre disponibile tutto ciò che pubblichiamo, e nel ’65 si rende quindi necessario acquistare un nuovo magazzino alle Caldine, che ci verrà consegnato solo alla fine del ’66. In attesa dei nuovi spazi i volumi vengono stipati in un fondo in via Ghibellina, dove purtroppo il 4 novembre del ’66 l’Arno, uscito dagli argini, deposita 5,70 metri di acqua e fango. È una nuova difficile prova da superare che si somma alla necessità di abbandonare la sede in via delle Caldaie, ormai non più sufficiente ad accogliere l’attività e racchiusa nelle strette strade della vecchia Firenze, piene di storia e di fascino, ma troppo anguste per gli spostamenti. Nel 1969 viene quindi inaugurata la nuova sede di viuzzo del Pozzetto dove attualmente, nella cinquecentesca villa «Il Palagio», continua l’attività dell’azienda.

Dagli anni Settanta ai giorni nostri

Nei primi anni ’70 l’attività prende un ulteriore impulso con l’apertura di nuove collane, e l’aumentata mole di lavoro che ormai si attesta su un centinaio di titoli l’anno può beneficiare dell’ingresso della quarta generazione di Daniele e Costanza, ai quali spetta il compito di adeguare la produzione a standard più elevati e avviare nuovi rapporti editoriali. In un decennio molte cose cambiano nella produzione, che per quasi cento anni si era mantenuta invariata affidandosi alla calda impressione del piombo e alla trasmissione orale dell’arte tipografica da proto a proto. Nasce la fotocomposizione e la stampa in offset a cui si affidano con un po’ di riluttanza le nuove edizioni, cercando però di mantenere le regole grafiche e tipografiche del passato e migliorando la qualità della carta, della confezione e della stampa. L’accelerazione dei tempi ci porta oggi ad affrontare una seconda rivoluzione e a confrontarci con la nuova frontiera del digitale, un mondo che nega quella ricerca della perfezione nella materialità del libro che era stato elemento imprescindibile negli intenti del fondatore e che fino a oggi aveva costantemente guidato tutte le generazioni. E' una nuova sfida che affrontiamo iniziando la digitalizzazione del nostro catalogo e di tutte le collezioni delle riviste, con l’intento di garantire ai futuri lettori un supporto più agile, ma mai svincolato dal suo alter ego su carta, al quale in tutti i modi cerchiamo di non rinunciare. Volgendo oggi lo sguardo ai 128 anni della nostra storia non possiamo non rallegrarci di esser riusciti a superare prove tanto difficili, mantenendo la Casa editrice all’interno della nostra famiglia, senza mai venir meno all’assunto iniziale di restare fedeli al settore delle scienze umane nella massima espressione della ricerca. Il nostro catalogo mantiene ancora disponibili volumi di fine Ottocento per un numero complessivo di titoli che ha superato le 4000 unità, senza contare le 26 riviste delle quali abbiamo disponibili tutti i fascicoli pubblicati, in alcuni casi da più di cento anni. Una produzione che in larga parte è destinata al di fuori dei confini nazionali, contribuendo a mantener viva l’attenzione internazionale sulla produzione culturale umanistica nel nostro paese.

Libri sulla Casa editrice Olschki