Claudio Pizzorusso

Ricerche su Cristofano Allori

1982, cm 18 x 25,5, 164 pp. con 55 tavv. f.t.

ISBN: 9788822230676

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Cristofano Allori (Firenze, 1577-1621): "il pittore della Giuditta". Questa identificazione, che si è andata delineando nel corso dell'Ottocento - soprattutto in certa cultura francese (Musset, Goncourt, Péladan) sollecitata dai romanzeschi episodi biografici legati a quel dipinto - e che ancor oggi non è scomparsa, ha contribuito a salvare il nome del pittore dalle tenebre calate sul Seicento fiorentino. Bisognava però attendere la moderna revisione critica - iniziata verso il Sessanta - per vedere restituita all'Allori una posizione centrale nell'arte di quegli anni. Letta come espressione di un clima intimistico velato di ambiguità, la sua pittura è stata collocata in un ruolo di sutura fra la generazione degli artisti 'riformati' - Cigoli, Passignano, Pagani - e quella dei più giovani Furini, Dandini, Vignali. E una particolare attenzione è stata rivolta ai suoi disegni e ai suoi bozzetti, sintesi della più sensibile e meticolosa tradizione grafica fiorentina e di una spregiudicata, insolit, fluidità pittorica.
In questa ulteriore messa a fuoco della sua personalità non si è inteso prescindere dalle sue molteplici doti, insistentemente ricordate dalle fonti: poeta, musicista, ballerino, mimo, fine conversatore, egli incarnava l'immagine dell'artista perfetto codificata dai trattati del Cinquecento. Così prima di procedere all'esame della sua esigua produzione pittorica si è voluto ricostruire la presenza del personaggio Allori nella vita culturale e cortigiana della Firenze di Ferdinando I e di Cosimo II. Tale ricerca ha fornito poi le promesse indiziali per una più articolata visione della sua pittura. Dalla reazione alle tendenze tardo manieristiche del padre Alessandro, suo primo maestro, al superamento del clima controriformistico degli ultimi anni del Cinquecento, l'Allori ha prodotto intorno al 1610 i suoi principali dipinti: la Maddalena, il San Giovanni, l'Ospitalità di San Giuliano, la Giuditta. La ricezione di nuove esperienze figurative - Rubens, Orazio Gentileschi, Annibale Carracci e i giovani bolognesi - gli ha consentito di definire un linguaggio conforme alla sua personale visione del 'classicismo', non estranea all'insieme della cultura fiorentina tra 1600 e 1620. Gli interessi letterari di Galileo, le ricerche della musica melodrammatica, le liriche di Chiabrera e del Rinucini, sembrano convergere, come è stato detto, verso una medesima aspriazione a un'"arte alessandrina" o a un "barocco alessandrino".

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